“Non è un problema mio…”

Capo: “Caro Giuseppe, devo chiederti di venire a lavorare sabato prossimo perché si è rotto questo macchinario e dobbiamo ripararlo. Lo so che è una mansione che prima svolgevi tu molto bene in autonomia ma che poi ti abbiamo tolto e affidata a una ditta esterna per problemi di budget, ma stavolta è proprio necessaria la tua presenza. La ditta esterna non può venire e noi siamo in difficoltà!”

Dipendente: “Capisco che siete in difficoltà, ma mi sento di non dare la mia disponibilità. Vede… non è più un problema mio!”

Capita spesso che, nonostante il capo richieda qualcosa in modo molto educato, anzi riconoscendo la bravura del suo interlocutore, il dipendente si senta di fare muro alle esigenze dell’azienda.

È chiaro che le ragioni di un comportamento del genere partono da più lontano, ad esempio dalla scelta dell’azienda di togliere la mansione al dipendente, mansione che magari gli dava un ruolo di responsabilità all’interno dell’azienda e una soddisfazione personale.

La scelta dell’azienda è stata “preferisco il vantaggio economico piuttosto che la valorizzazione del mio dipendente”, ma le conseguenze sul dipendente sono anche emotive. La conseguenza emotiva è stata infatti il dispiacere, che facilmente sfocia nel risentimento, che poi si traduce nella scelta pratica del “faccio il minimo indispensabile”.

In realtà, chi ci sta peggio è il dipendente: il concetto del “non è un problema mio” non corrisponde alla realtà delle cose: se fai parte di un’organizzazione, qualsiasi problema è anche un problema tuo! Non sarà di tua competenza la sua risoluzione, ma è comunque un problema tuo, perché danneggia qualcosa di cui fai parte.

Per questo non sarai mai del tutto sereno quando vedi dei problemi intorno a te, perché tu in fondo vieni toccato da quel problema, anche solo in forma di sensazione che qualcosa non sta andando nel verso giusto. Questa è la consapevolezza che può farci tornare in connessione con l’ambiente lavorativo in cui ci troviamo.

In che modo possiamo agire per evitare che un tuo collaboratore costruisca un muro di incomunicabilità intorno a sé?

A volte anche un saluto di due minuti può sortire il suo effetto. Oppure un interessamento sincero al problema, senza sminuire il collega, o ancora un chiarimento tecnico sulle posizioni. Ma la base è costruire un rapporto di fiducia che parta da lontano, dal riconoscimento del ruolo e delle competenze del collaboratore.

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Affidare o affibbiare?